Questa
storia l’ho trovata stamattina in rete, mentre cercavo di informarmi sulla
situazione di Genova e guardavo in silenzio le ultime immagini dell’alluvione.
Non la conoscevo, perché certi episodi “minimi” nessuno li racconta più, forse
abbiamo perso il gusto di farlo. Ma quando pensavo di diventare giornalista,
erano proprio questi i fatti di cui avrei voluto scrivere, perché aiutano a
capire e a dare un senso, quando diventa difficilissimo, se non impossibile
farlo. Come oggi, tra le strade di Genova, negli occhi dei suoi cittadini
feriti, nel cuore di tutti quelli che amano questa città, anche se non ci sono
mai stati, ma hanno imparato a conoscerla attraverso i versi di De André o le
poesie di Montale. L’ha
scritta il mio indimenticabile professore di lettere del liceo, Giuseppe
Cilento, nel suo status su Facebook. E racconta del viaggio dei portuali di
Genova verso l’Irpinia, nei giorni drammatici del terremoto del 1980. Anche allora
era novembre, la terrà tremò per 90 secondi lasciando sotto le macerie più di
2000 vittime. Immediatamente, dal porto di Genova i portuali e gli operai
dell’Italsider organizzarono diverse squadre di soccorso da inviare sul posto. Fu
un gesto istintivo e disinteressato, uno di quelli che si dovrebbero far studiare
nelle scuole, per insegnare ai bambini che gli eroi esistono anche fuori dai
fumetti. In pochi giorni si programmò la partenza di due navi dirette al porto
di Salerno: la prima, salpata appena arrivarono le prime drammatiche notizie
sull’entità del sisma, portò container, docce, case prefabbricate, roulotte. I
container divennero la casa dei portuali per i successivi quattro mesi passati
tra quelle montagne. Sull’altra nave gruppi elettrogeni, cavi, pale, ruspe e
semoventi. I camion si diressero verso tre piccoli paesi della provincia di
Salerno completamente rasi al suolo dal sisma: Oliveto Citra, Laviano e
Colliano. Prima di quel giorno era difficile perfino trovarli segnati sulle
carte geografiche. Alcuni ricordano che il sindaco di Oliveto Citra paragonò l’arrivo
degli operai genovesi a quello degli alleati in Normandia. Le squadre di
soccorso (formate da 50 elementi l’una) si davano il cambio ogni sette giorni. Per
quattro lunghissimi mesi furono gli artefici di un piccolissimo miracolo:
diedero a tutti gli abitanti un posto in cui stare, nei tre campi base
costruiti a valle, con luce, acqua corrente e tutti i generi di prima necessità. Chi conosce quelle
montagne può immaginare quanto sia stata difficile l’opera di soccorso e quanto
sia stato grande il gesto fatto dagli “uomini venuti dal mare”. Quanta
generosità da parte degli “ultimi della terra”, come ama definirli Don Gallo,
che da quel giorno divennero gli angeli di Laviano. Perfino il segretario del
Pci Enrico Berlinguer e il parlamentare Pio La Torre andarono a stringere le
mani ruvide di quegli uomini, riconoscendo il grandissimo carico di altruismo che
erano stati in grado di trasmettere a tutto il paese attraverso il loro
contributo. Oggi, guardo Genova e ripenso a loro. Ripenso che malgrado tutto,
questo paese racchiude in se ancora tante cose bellissime, tante storie che ci
possono far rialzare la testa e insegnare la speranza. Proprio quando si tocca
il fondo. E oggi tocca a noi spazzare via quel fango. Lo dobbiamo al
grande cuore di quei portuali che insegnarono a tutti che cos’è la dignità.
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