mercoledì 22 giugno 2011

Unità di Crisi

Questo mio articolo è stato pubblicato dal sito "Offline-le notizie in altre parole" il 29 aprile 2009. Lo ripropongo perché penso possa completare il quadro.
 
C’era una volta un imprenditore illuminato e generoso che decise di lasciare tutte le attività per le quali tanto si era speso per prendersi cura della sua terra e della sua gente. Una storia d’altri tempi come se ne sentono tante, soprattutto in Italia e in Thailandia. Ma questa volta non stiamo parlando dell’Unto dal Signore Silvio Berlusconi, ma del suo epigono sardo: il moralizzatore di Sanluri Renato Soru. L’uomo “testardo e retto” che parla a braccio ai minatori del Sulcis, il padre in “giacca di velluto a coste” che in nome della coerenza manda a gambe per aria il consiglio Regionale che presiede senza troppi “ma anche”. 
L’uomo nuovo del Pd che come molti altri esponenti democratici si è iscritto di diritto nel libro nero degli “Icaro socialdemocratici e riformisti”. Come si diceva all’inizio una storia come tante in questa Italia post-meta-psyco Prima Repubblica. Ebbene il self made man, nemmeno un anno fa, decise di incrementare le sue tante attività filantropiche acquistando il malridotto quotidiano fondato dall’illustre conterraneo Antonio Gramsci, l’Unità, salvandola dai tanti debiti e avviando un’energica azione di rilancio. Inni di giubilo da tutta la sinistra italiana, con in prima fila Walter Kennedy Veltroni a spellarsi le mani e a benedire il connubio Tiscali- via Benaglia. Tutti felici per lo scampato pericolo corso con la possibilità che ad acquistare l’ex organo del PCI fossero gli Angelucci, signori incontrastati della sanità laziale, ora alle prese con le celle di Regina Coeli.
«Non era giusto che il giornale di Gramsci e di Enrico Berlinguer, che ha rappresentato tanto nella storia del nostro Paese, fosse trattato – affermava l’ex Governatore nel maggio 2008 - come una merce qualsiasi». Infatti, meglio trattarlo come un balocco con il quale si gioca per un po’, fino a quando non serve più, e allora lo si ripone nel cestino delle cose vecchie. Milioni di euro per il rilancio, una nuova direttrice, una veste grafica rivoluzionata, il rifacimento del sito internet, l’innesto di tanti giovani e validi giornalisti, l’idea di aprire 4 nuove sedi locali a Cagliari, Palermo, Milano e Napoli. Ma la luna di miele è durata poco più di 9 mesi. Il tempo di dimettersi dalla Carica di Governatore, affrontare il gigante Cappellacci del Pdl alle elezioni di febbraio, perdere le consultazioni e tornare a casa-Tiscali. Fine dei giochi. A questo punto a cosa serve l’Unità? Il giornale cresce nelle vendite, va bene e piace, come non succedeva da tempo (nei primi mesi della nuova gestione sembrava che le vendite fossero aumentate e che la nuova veste grafica incontrasse i gusti del pubblico Ndr). Ma non è più utile. Il suo destino era tragicamente legato a quello del benefattore Soru: l’avventura politica del moralizzatore di Sanluri è naufragata, quindi a chi importa dell’Unità? Del glorioso giornale di Gramsci e Berlinguer? Si, erano sardi anche loro, ma non erano mica imprenditori. Cosa ne sapevano della crisi economica, di quella dell’editoria e del gigante Cappellacci?
A febbraio l’Unità ripiomba nel baratro e Soru non è più disposto a sborsare un euro. Serve un piano di ristrutturazione selvaggio, tagli ai costi e di conseguenza al personale. La redazione non ci sta, indice 5 giorni di sciopero nel mese di marzo. Ma dietro la minaccia di vedersi recapitare i libri in tribunale il Cdr fa marcia indietro ed è costretto ad accettare i tagli. Venti giornalisti fuori più la fine del contratto per altri dieci con un rapporto di collaborazione. E nei prossimi due anni altri 17 redattori a casa e la cassa integrazione a turno per chi resta. Effetto immediato della ristrutturazione la scomparsa, a partire da maggio, della cronaca di Roma. In fondo, la Capitale, nel primo anno dalla fondazione dell’Impero di Alemanno non ha bisogno di una voce diversa, di sinistra. E nemmeno i precari hanno bisogno di essere rappresentati: oltretutto sarebbe abbastanza bizzarro essere rappresentati da altri precari. E nemmeno le famiglie dei morti sul lavoro avranno bisogno di leggere le cronache dei processi che le riguardano. Dopo la legge Sacconi non serviranno più. E nemmeno chi lotta contro le mafie avrà più bisogno dell’Unità, perché le mafie non esistono ne in Sardegna ne nel resto del mondo. E nemmeno il Pd ne avrà bisogno: è troppo concentrato sulle prossime elezioni Europee. O meglio, troppo concentrato ad agevolare una nuova storica vittoria del Cavaliere. Lui si che ci sa fare con l’informazione e con i giornali. Sarà per questo che non ne manda i libri in tribunale dal 1994. Sarà anche perché a lui i tribunali non piacciono molto. Sarà..Ma anche questo non è importante.

sabato 18 giugno 2011

Se la direttora va via..

Ho aperto il blog da un po' di mesi, ma questo è il mio primo post. Ci pensavo da questo pomeriggio, in fondo sono una giornalista e se anche non lavoro per nessuno, mi piace scrivere, discutere, analizzare le cose, spaccare il capello, raccontare storie. E così stasera, dopo mesi e mesi di inattività, devo scrivere. Lo devo fare perché mi prudono le mani, un riflesso del mio cervello che non sta quieto. Proverò a farlo fuor di retorica, su una cosa che oggi mi ha lasciato davvero perplessa. E' ormai notizia certa che la direttrice dell'Unità, diva e donna, Concita De Gregorio, lascerà entro un mese la direzione del quotidiano fondato da Gramsci. E fin qui, tutto regolare. Capita che i direttori lascino o siano licenziati. Capita in tutti gli ambiti. Capita anche nelle migliori famiglie. Quello che proprio non capisco è la reazione di gran parte del popolo della sinistra. Non capisco i messaggi di solidarietà strappalacrime, non capisco chi grida al complotto ordito dai perfidi dirigenti del Pd, in primis D'Alema, che anche se non gode della mia massima stima, questa volta davvero mi sembra estraneo al fatto. Non capisco perchè dobbiamo sempre ornarci di finti profeti e di santini da incensare. Non capisco perchè ci facciamo influenzare tanto e imbambolare da persone e storie che in condizioni normali, in un paese normale, in un tempo giusto, sarebbero al loro posto senza tanti clamori. Poi ho capito perchè succede questo. Perché tanti non sanno come funziona, come vanno le cose realmente anche a sinistra, in quella dei salotti soprattutto. Io lo so, adesso lo so. Ma prima ero come loro. Prima di voler diventare giornalista, prima di aver fatto stage in redazioni di mezza Italia, prima di aver visto fabbricare i santini, prima di aver camminato per i corridoi dell'Unità. E allora proverò a spiegare io perché Concita De Gregorio va via, lascia la direzione e con tutta probabilità torna a Repubblica. E soprattutto perché non è un "santino". Tre anni fa alla guida dell'Unità, che allora tirava circa 60mila copie, c'era Antonio Padellaro, con Furio Colombo. Accanto a loro tutta una serie di ottimi giornalisti, come Enrico Fierro, Bruno Ugolini e tanti ragazzi, giovani preparati, precari soprattutto. I migliori di quel giornale, più di Travaglio e Oliviero Beha . Per carità, anche Padellaro and co non avevano gestito al massimo il quotidiano. Il direttore era spesso assente, i soldi mancavano, alcune realtà, come l'online erano assolutamente inadeguate. Ma questi sono problemi "veniali", in fondo questo manipolo di giornalisti aveva fatto rinascere l'Unità e l'aveva portata in pochi anni ad essere di nuovo uno dei quotidiani più importanti d'Italia. Ma ad un certo punto, dopo l'acquisto da parte di Soru della società editrice "Nuova iniziativa editoriale", che per i gravi problemi economci stava finendo addirittura nelle mani dei famigerati Angelucci, le cose comincino a cambiare. Veltroni annuncia a mezzo stampa (da segretario del Pd, principale partito di opposizione nel giugno 2008) che alla guida del quotidiano avrebbe visto bene una donna. La De Gregorio rilascia un'intervista dove si dice ben disposta ad accetare l'incarico. Peccato che il tutto sia avvenuto senza avvisare Padellaro e la redazione. Non starò qui a fare dietrologia. Per quella, lo ha già detto la direttora nel suo ultimo editoriale, c'è  dagospia. Ma un pò di fatti si possono snocciolare, giusto per fare chiarezza. Dall'arrivo della De Gregorio sono stati spesi molti milioni di euro per ideare la nuova veste editoriale dell'Unità (2,5 milioni solo a Toscani per una ridicola campagna di promozione) e il risultato è stato che si è passati dalle 60 mila copie di Padellaro alle 35 mila dell'ultima gestione. La De Gregorio, come molti direttori fanno anche in maniera legittima, ha portato con se una serie di collaboratori in redazione. Il problema è sorto quando ha emarginato parte dei giornalisti storici della testata e delle migliori firme per far posto ai suoi nomi, senza preoccuparsi delle gerarchie, del merito e dell'anzianità. Morale della favola: una gestione nepotistica del giornale ha portato in brevissimo tempo all'addio o all'epurazione sommaira di nomi come Travaglio, Fierro, Beha, e poi nel tempo di Lidia Ravera e tanti altri pezzi da 90. Tutti confluiti al Fatto Quotidiano, che in questo momento tira tre volte l'Unità. Dettagli. Poi Soru si dimette, Veltroni fallisce con lui e i soldi all'Unità non arrivano più. Non interessa più al suo editore. Quaranta giornalisti vengono buttati fuori da un giorno all'altro. Tra loro ci sono i migliori, quelli che vi dicevo pima, i giovani più talentuosi, più impegnati. Una vertenza durissima che vede la De Gregorio assolutamente immobile. Non un dito per loro. Di molti non sa nemmeno il nome, forse nemmeno legge gli articoli che quotidianamente pubblicano sul suo giornale per 20 euro lorde a pezzo (pagate a 90 giorni forse, ma più realisticamente a 120). E' per loro che in questo momento, più di ogni altra cosa, un dettaglio proprio non mi va giù: nel suo ultimo editoriale la De Gregorio, con sprezzo della vergogna, scrive "abbiamo attraversato lo stato di crisi aziendale rispettando con coscienza i patti che avevamo firmato, abbiamo combattuto le rendite di posizione, abbiamo messo in sicurezza i precari di antica gestione, non ne abbiamo creati di nuovi, abbiamo sostituito le maternità, abbiamo osservato con rigore la legge". Questo no, direttora, non lo posso sopportare, grida vendetta. Non avete rispettato la legge, non avete normalizzato i precari, non li avete messi in sicurezza, come si fa con le case terremotate. Li avete costretti ad andare via o a sottostare al ricatto della collaborazione. Mentre lei diventava un santino, mentre andava a tutte le manifestazioni e in tutte le tv a parlare di precari, di giovani e di lavoro. Non si possono fare queste cose quando la gente è in cassa integrazione a rotazione, quando uno per poter continuare a scrivere deve fare anche il cameriere e non arriva a fine mese, quando il giornale perde pezzi, dimenticandosi davvero di fare inchieste, di occuparsi del sociale e di lavoro. Il giornale di Gramsci è diventato in tre anni l'ombra di un free press. Mi hanno insegnato che quando la nave affonda, l'ultimo a lasciarla è il suo comandante. Ma oggi funziona diversamente: il comandante va via su uno yacht, parlando di come sconfiggerà le avversità e i nemici del popolo su un'altra nave. E va bene anche questo. Solo avrei gradito un pò di dignità in più. Per rispetto di quelli che affronteranno il naufragio da soli, senza nemmeno l'aiuto di un santino da incensare.